Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, è presidente della fondazione Minotauro di Milano, insegna presso il Dipartimento di psicologia dell’Università degli studi di Milano-Bicocca e presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano.
Con lui ci siamo focalizzati nell’incontro avuto in occasione della Settimana dell’Educazione promossa dagli oratori della città di Sesto, su un argomento che è proprio della sua teorizzazione e pratica: l’adolescenza. L’intervento da lui tenuto ricalca i temi del suo ultimo libro L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti. La prima impressione che ho ricevuto è quella di un uomo, di un professionista, dalla battuta pronta e in continua accelerazione, a causa dei molteplici impegni e attività che lo vedono coinvolto. Da questo incontro ho ricavato anche un’altra convinzione: quanto sia urgente confrontarsi con gli adolescenti. Tanto che sulla falsariga di un famoso film del 1998 Salvate il soldato Ryan mi verrebbe da esclamare: “Salvate gli adolescenti”. O, ancora meglio: “Lasciate che gli adolescenti si salvino dagli adulti!”.
Riportiamo alcuni passaggi del suo intervento:
Io ovviamente ho avuto come riferimento nella strutturazione del mio lavoro, i lavori di Charmet. Ci sono tanti aspetti su cui si può ragionare, ma da quello che vediamo anche recentemente a seguito della pandemia, è che forse siamo chiamati a fare un passo ulteriore oltre la società del narcisismo, oltre i cambiamenti intervenuti nel mondo della famiglia di cui parla Charmet. Oggi siamo in una società in cui la famiglia e la scuola devono tener conto sempre di più dell’influenza che hanno sui bambini piccoli, non solo sugli adolescenti, modelli pervasivi che provengono da internet, dalla pornografizzazione di tutto, dalla sottocultura massmediatica. Io credo che la società massmediatica abbia ampliato ulteriormente, insieme a tanti altri fattori, una fragilità adulta sulla quale bisogna lavorare. Anche il tipo di sofferenza dei ragazzi penso che negli ultimi anni si sia in parte aggravata. Quindi dobbiamo studiarne la trasformazione.
Sostengo, che ci siano state nel corso degli anni una serie di trasformazioni nel modo di educare, crescere, di immergere in miti affettivi nuovi i bambini, tra cui la precocizzazione e l’adultizzazione dell’infanzia, a cui poi non siamo stati in grado di adattare la visione dell’adolescenza. Da questo punto di vista penso che il tema sia quello di cercare di comprendere chi sono gli adolescenti che crescono dentro questi modelli d’infanzia nuovi. La scuola e spesso la famiglia, ma anche i servizi hanno riadattato in base al funzionamento della pedagogia, della psicanalisi, della psicologia, il modo di guardare ai bambini. Si fa però un po’ più di fatica con l’arrivo dell’adolescenza. Quindi prevalgono stereotipi e luoghi comuni, e anche interventi educativi che rischiano poi di infantilizzare l’adolescente dopo averlo adultizzato. Io penso da anni che questa sia l’emergenza educativa in Italia.
Non essendo oppositivi, non essendo trasgressivi, non essendo cresciuti in una società sessuofobica, la chiusura di spazi di socializzazione, di gioco, la narrazione di alcuni mass media che addirittura attribuiva loro il voler uccidere i nonni andando a bersi l’aperitivo, hanno in realtà dimostrato che in realtà queste sono generazioni che si prendono carico delle fragilità adulte, al punto di non chiedere a volte neanche aiuto, al punto di responsabilizzarsi durante la pandemia e anche durante la fine di una pandemia, come dicono tutti i dati di ricerca, e contestare sempre meno di quanto uno si aspetterebbe essendo cresciuto come me negli anni Settanta. Sono adolescenti che hanno un funzionamento meno trasgressivo, meno oppositivo, e che hanno un grosso problema più legato agli ideali elevati di successo e di popolarità che la società di oggi crea ogni giorno, e li crea attraverso modelli culturali, anche televisivi, straordinariamente potenti. Quindi che cosa succede?
Che abbiamo degli adulti talmente fragili che prima della pandemia dicevano che il malessere dei ragazzi dipendeva da internet, cosa che a mio avviso era una semplificazione brutale. Visto che la società risente di internet, dell’uso sconsiderato che ne fanno gli adulti, che ogni giorno governano la scuola e gli allenamenti delle squadre di calcio con i gruppi di WhatsApp. Adesso si dice che è colpa della pandemia. Non rendendosi conto che noi costruiamo la società ogni giorno, con proposte di programmi televisivi che hanno oltre il 50% di share, con modelli di identificazione che proponiamo ogni giorno a scuola, con i comportamenti di ogni momento, che sono straordinariamente a favore dell’idea che “Conta oggi aver successo non conta avere le regole. Conta la popolarità, conta l’audience, contano i like, contano i follower”. Gli adolescenti sono educati sin da piccoli a questa società che dovrebbe essere la loro, e che invece è degli adulti. Quando arrivano all’adolescenza e dicono “Adesso datemi una mano perché mi avete detto che è così che funziona”, noi li guardiamo e diciamo loro “Ti vedo esagerato. Sei tutto sbagliato. Devi stare nelle regole. Studia che vai a scuola e stai nelle regole, che è quello che conta”. Allora ogni giorno vedono che quella che gli raccontano i papà e le mamme è una barzelletta. Ormai siamo in difficoltà anche noi psicologi a fare interventi in classe dove si parla di rispetto all’altro, di episodi di bullismo, di cyberbullismo. Mentre tutti i giorni in televisione, nel fare di ogni genitore, a scuola, vengono portati avanti dagli stessi insegnanti comportamenti discutibili. Gli stessi che dicono che è colpa di internet e poi decretano il successo di trasmissioni televisive che andrebbero chiuse per legge, perché non rispettano le regole. Bisognerebbe aiutare i ragazzi a utilizzare internet. Mentre io sarei per vietare internet dai trent’anni in su. Penso che ci sia una fragilità degli adulti, i quali ogni giorno creano con i loro comportamenti una società nella quale mangiano in maniera abbondante alla tavola di internet e dei social, e poi fanno politiche un po’ ipocrite per dire che invece il mondo è tutt’altra cosa. Purtroppo abbiamo ragazzi che davanti alla fragilità di questi adulti che cosa fanno? Cercano il successo, la popolarità a tutti i costi. E se cercano la popolarità la scuola dice che sono dipendenti da internet, la famiglia si preoccupa, e così gli adolescenti piuttosto che arrabbiarsi, come purtroppo succede ed è per questo che un po’ mi accaloro, invece di arrabbiarsi, attaccare, contestare, attaccano sé stessi. Quindi, al di là di tutte le parole che si possono dire, i dati certi sono che gli adolescenti dell’ultimi anni attaccano sé stessi e il proprio corpo, con disturbi alimentari, ritiro sociale e scolastico che è aumentato a dismisura dopo la pandemia, visto le scellerate decisioni degli adulti, non a causa della pandemia. Aumenteranno i gesti autolesivi e i tentativi di suicidio che è la seconda causa di morte giovanile in Italia come dice l’ONU. Non lo dicono gli psicologi per fare allarmismi. Davanti a tutto questo gli adulti se ne fregano.
Al termine della serata ho come l’impressione che sia difficile trarre delle conclusioni e nemmeno si ha la certezza di avere in mano delle strategie da mettere in atto per risultare vincenti nel rapporto con i nostri ragazzi. L’unica cosa certa è quella di partire anzitutto da noi e dalla nostra umanità. Mettere al centro il nostro desiderio non semplicemente di ascoltarli, ma di sentire quello che hanno da dire realmente i ragazzi di oggi, e il fatto che sono alla ricerca di uomini e donne credibili. Solamente figure così sono in grado ancora oggi di risultare affascinanti; modelli di vita buona e piena a cui tendere nel processo di crescita e di identificazione del proprio io.
don Andrea